Che cos’è?
Nel disturbo di panico, brevi episodi di paura intensa (chiamati “attacco di panico”) sono accompagnati da una varietà di sintomi fisici (come palpitazioni e capogiri) e psicologici (paura di morire, di perdere il controllo, ecc…) che insorgono rapidamente e inaspettatamente in assenza di un’apparente minaccia esterna.
Sintomi fisici:
Reazioni Psicologiche:
L’iniziale attacco di panico può accadere quando le persone sono in un periodo di forte stress, per esempio da sovraccarico di lavoro o in conseguenza della perdita di un familiare o una persona amica. Gli attacchi possono anche seguire operazioni chirurgiche, malattie o la nascita di un bambino. L’esagerato consumo di caffeina, l’uso di cocaina o altri stupefacenti o medicine, come gli stimolanti usati per la cura dell’asma, possono scatenare gli attacchi di panico. Anche il sonno può essere disturbato dagli attacchi che sopraggiungono durante la notte provocando risvegli angoscianti. Queste esperienze sono così strazianti che alcune persone che hanno avuto attacchi di panico notturni temono di andare a dormire e possono andare incontro ad un progressivo esaurimento fisico. Inoltre, anche se non ci sono attacchi di panico notturni, il sonno può essere disturbato a causa dell’ansia cronica legata al panico.
Gli attacchi di panico colgono di solito la persona di sorpresa. Questa imprevedibilità è la ragione per la quale sono così devastanti. In preda a questa inaspettata e terrorizzante esperienza, la persona cerca di allontanarsi dalla situazione in cui si trova o cerca aiuto.
La spontaneità dell’attacco, soprattutto del primo, e l’incapacità di trovare una spiegazione alla sua insorgenza generano la comprensibile paura che un nuovo attacco possa arrivare (ansia anticipatoria o paura della paura), parimenti forte e destabilizzante, consolidando l’idea nascente di una grave malattia segnalata dai sintomi provati. Si può sviluppare così, un disturbo da attacco di panico, allorché gli attacchi si ripetono e la persona sviluppi un’intensa apprensione nella prospettiva di avere un altro attacco.
Conseguenze: l’agorafobia
Inoltre, il disturbo può raggiungere uno stadio avanzato nel quale si ha paura di trovarsi nelle situazioni o nei luoghi da cui potrebbe essere difficile o imbarazzante fuggire o ricevere aiuto in caso di attacco di panico. Questa condizione è chiamata agorafobia
Gli agorafobici spesso temono di trovarsi in mezzo alla folla, di rimanere in coda, di entrare nei supermercati e di viaggiare in macchina o sui mezzi pubblici. Il più delle volte queste persone rimangono all’interno di “zone di sicurezza”, che possono comprendere solo la casa o le immediate vicinanze. Qualsiasi spostamento oltre i confini della “zona di sicurezza” crea un aumento d’ansia e necessitano della compagnia di una persona fidata per potersi muovere.
Le situazioni evitate e che creano disagio possono essere diverse, ma tutte, indistintamente e per le caratteristiche menzionate, vengono valutate pericolose, perché potenzialmente ansiogene. Tra le altre, quelle più comunemente evitate e temute sono: supermercati, luoghi affollati, mezzi pubblici, viaggiare in treno e in auto, ascensori, restare da soli, allontanarsi da soli.
Gli evitamenti possono riguardare una o due delle situazioni citate, ma comprenderle anche tutte: l’evitamento anticipa la fuga in caso di panico e difende la persona mantenendola in un luogo o in una relazione con qualcuno per lei fonte di sicurezza, ma tutto ciò è una breve ricompensa e un’illusione. Purtroppo e non raramente gli individui possono arrivare a non riuscire più ad uscire di casa, vivendo come reclusi e a perdere il lavoro. Inoltre i cambiamenti nell’ambiente di vita portano anche i familiari ad adattarsi di conseguenza, dovendo, più o meno, sempre essere presenti per le costanti richieste di rassicurazione e protezione e/o durante gli eventuali spostamenti.
Come si manifesta?
In generale il modello cognitivo-comportamentale afferma che l’interpretazione catastrofica di innocue sensazioni fisiche (presumibilmente “lette” come precursori di pericolo), unitamente al costante stato di apprensione per gli stimoli provenienti sia dal proprio corpo, sia dall’ambiente esterno, favorirebbero l’incremento dell’ansia dando il via ad un circolo vizioso della paura della paura. I sintomi dell’attivazione ansiosa confermerebbero la distorta interpretazione, che a sua volta aumenterebbe il livello d’ansia, intrappolando, così, il soggetto in uno stato di panico. Successivamente prenderebbero forma tre fattori di mantenimento del processo di panico: l’attenzione selettiva verso le sensazioni somatiche, e i comportamenti protettivi e di evitamento associati alla situazione.
Si verrebbe così a costituire un circolo vizioso che rende più probabile, attraverso la paura della paura, la manifestazione di un ulteriore attacco di panico.
Nello specifico si ritiene che il circolo vizioso operi in questo modo:
Fase 1: Ansia Anticipatoria:
- Il circolo del panico inizia quando la persona pensa o immagina di approcciare una situazione temuta;
- in un istante la mente richiama alla memoria i passati fallimenti nel gestire con successo una situazione analoga; questo perché quando siamo mentalmente coinvolti nel ricordo di un evento passato, il nostro corpo tende a rispondere all’esperienza “come se” quella scena, quell’evento, quella situazione stesse accadendo al momento presente, nel “qui e ora”;
- la persona inizia a dubitare delle proprie capacità di fronteggiare la situazione: “Posso veramente farcela?” E se mi venisse un attacco di panico?”, ecc…
- automaticamente e inconsapevolmente la risposta a questa domanda retorica è: “No, se sto male come la volta scorsa, se mi verrà il panico, perderò sicuramente il controllo…”;
- questi pensieri automatici (che come definiti da Beck sono brevi, veloci e plausibili, tali da poter essere inconsapevoli) danno una precisa istruzione al corpo: “stai in guardia contro la peggiore cosa che potrebbe succedere.” Inoltre, la persona potrebbe automaticamente e contemporaneamente immaginare se stessa nelle peggiore situazione possibile, incapace e impotente, completamente alla mercé del panico (ad es. come sarebbe terribile e insopportabile trovarsi in quella situazione, come potrebbe perdere il controllo e cosa succederebbe se lo perdesse…);
- come il corpo risponde alle memorie del passato, così risponde alle cognizioni sul futuro, come se stesse accadendo nel “qui e ora”: immaginando se stessa in difficoltà e vulnerabile, la mente darà istruzioni al corpo di “proteggersi contro i fallimenti”;
- il corpo risponderà correttamente al segnale di emergenza inviato dalla mente per preparasi alla fuga o all’attacco. E’ importante, quindi , sottolineare come il corpo risponda “come da programma” ad un messaggio di pericolo esagerato o immaginario inviato dalla mente: sono i pensieri, le immagini e le interpretazioni che diamo agli eventi della nostra esperienza il focus della terapia, su di essi è fondamentale intervenire per acquisire il controllo del panico.
In altre parole la mente dice al corpo: “Il pericolo è adesso. Stai in guardia! Proteggimi!”.
Questa è una delle ragioni per cui la persona avverte i sintomi tutti in una volta, improvvisamente e inaspettatamente: la maggior parte dei messaggi che intercorrono tra il cervello e il corpo sono inconsapevoli, “silenziosi”.
Fase 2: l’Attacco di Panico.
- in questa fase la persona percepisce i sintomi fisici della risposta del corpo all’emergenza (il livello dello zucchero nel sangue aumenta; le pupille si dilatano; il battito cardiaco aumenta; la bocca si fa secca; i muscoli si tendono, il sangue viene ritirato, diminuendo drasticamente dalle braccia e dalle gambe e viene concentrato nella testa e nel tronco)
- si spaventa delle sensazioni provate e automaticamente sollecita il corpo a proteggerla;
- il corpo continua a cambiare la sua chimica alla scopo di prepararsi ad affrontare l’emergenza;
- dal momento che non c’è una reale emergenza fisica, la ricerca e l’attenzione di una causa e di una spiegazione per lo stato aversivo in corso si rivolge sui pensieri e le immagini terrorizzanti e catastrofiche, e sulle stesse sensazioni fisiche esperite, enfatizzandone ed esacerbandone l’intensità: si instaura così il ben noto circolo vizioso autorinforzante che porta al panico.
Quali sono le cause?
Lo sviluppo del disturbo sembrerebbe avvenire abitualmente in un determinato momento di vita dell’individuo sottoposto a stress. Solitamente gli stressor sono cambiamenti rilevanti nella vita delle persone, come lutti o conflitti coniugali. Gli effetti di tali eventi possono essere accentuati da deficit di abilità sociali e scarso senso di auto efficacia. L’individuo vivrebbe una situazione di vita problematica, in cui progetti diversi sarebbero in contrasto gli uni con gli altri.
Tra gli obiettivi del proprio quotidiano, la persona ansiosa pone al primo posto la sicurezza personale e la tranquillità. E’ disposta anche a forti limitazioni della sua stessa vita (isolamento in casa, ritiro sociale) affinché possa evitare i pericoli cui si può andare incontro per strada (incidenti, aggressioni) o nei rapporti sociali (confronto o scontro con gli altri, umiliazioni). L’ansioso sembra quindi oscillare intorno agli estremi di indipendenza-dipendenza, autonomia-controllo; i temi dell’autosufficienza e dell’autonomia personale così come si realizzano durante l’adolescenza divengono, quindi, fattori predittivi per l’insorgenza del panico e dell’agorafobia nell’analisi clinica. Comportamenti e convinzioni di debolezza, inadeguatezza e incompetenza spingerebbero la persona alla ricerca di una figura di riferimento. Inoltre, le autovalutazioni negative e le tendenze alla sottomissione indebolirebbero ulteriormente l’immagine di sé, marcando sensibilmente la qualità delle relazioni interpersonali.
All’incremento del senso di inadeguatezza personale si aggiungerebbe l’esperienza di sentirsi in trappola, dominati e controllati dalle altre persone, in una vincolante relazione di dipendenza: allo stesso tempo il desiderio di trovare l’appoggio di una figura di attaccamento sembra entrare in conflitto con il desiderio di essere liberi e autonomi (desiderio sotteso, però, da una immagine di sé negativa e roso dal dubbio di essere in grado di agire autonomamente), in una dinamica tra compiacenza e ribellione, tra l’essere troppo vicini agli altri o troppo lontani (Guidano, Liotti, 1983). Di conseguenza l’ansia e il panico scaturirebbero da esperienze di solitudine e di limitazione di movimento.
Trattamento con la terapia cognitivo-comportamentale?
Per chi soffre di attacchi di panico non è fondamentale occuparsi in modo diretto del panico, quanto piuttosto del proprio modo di reagire al panico (credenze, pensieri e comportamenti in relazione al panico). Analizzando e modificando la loro relazione con il panico, impareranno a padroneggiarlo.
La chiave per controllare gli attacchi di panico è smettere di fuggirli e imparare, al contrario, ad affrontarli e a gestirli.
Tramite l’approccio cognitivo-comportamentale (riconosciuto efficace dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), cioè acquisendo abilità per superare e controllare in maniera autonoma i sintomi fisici e psicologici del panico ed esponendosi a tutte le situazioni e ai sintomi temuti, ciò è possibile.
Comprendendo cos’è il panico, apprendendo le abilità per controllarne sia i sintomi cognitivi (paura di morire, di perdere il controllo, ecc…), sia quelli fisici (come tachicardia o senso di soffocamento) ed esponendosi a tutte le situazioni e a tutti i sintomi temuti, è possibile superare gli attacchi di panico.
Il trattamento cognitivo-comportamentale può raggiungere risultati significativi nel 70–90% dei casi di disturbo di panico e un trattamento precoce può aiutare a bloccare il progredire della malattia verso quegli stadi avanzati nei quali si sviluppa l’agorafobia.
Perché un intervento funzioni è opportuno prima di tutto capire le “tre leggi dell’ansia”.
Prima legge dell’ansia
L’attacco di panico non è pericoloso. Durante un attacco state provando una “risposta di attacco-o-fuga” (come visto nel primo articolo): è sgradevole, ma non reca alcun danno psicologico o fisico. Piuttosto ascoltate il loro messaggio, legati ai momenti di stress che state subendo, parlano della vostra vita. Individuate le vostre fonti di stress.
Seconda legge dell’ansia
Il panico passa sempre. L’ansia ad un certo punto finisce e si esaurisce in tempi brevi. Se il panico dura più di pochi minuti molto probabilmente state facendo qualcosa che lo mantiene. E questo ha a che fare con il modo con cui considerate gli attacchi stessi; in altre parole, è ciò che pensate degli attacchi di panico che li rende molto più minacciosi di quanto in realtà non lo siano. E’ il pensiero catastrofico “E se… (…fosse un infarto? …impazzissi? …svenissi? …facessi una brutta figura? …soffocassi?, ecc…)” che porta ad avere il panico. Pensando in maniera catastrofica si getta benzina sul fuoco del vostro panico. Questi pensieri sorgono spontanei, è possibile, però, imparare a pensare in maniera più realistica ed equilibrata, prima, durante e dopo un attacco di panico. Attraverso questa modificazione degli schemi di pensiero, si acquisisce il controllo sul problema.
Terza legge dell’ansia
L’esposizione ai sintomi diminuisce l’ansia, l’evitamento l’aumenta e la mantiene forte e viva. Molto spesso anche se si comprende che non si muore di infarto durante un attacco di panico, la paura e le emozioni negative restano invariate. Venendo a contatto con la paura e reagendo in modo diverso ad essa (cioè non fuggendo o evitando, ma rimanendo nella situazione), “insegniamo” al nostro cervello a rompere l’associazione tra stato di disagio e situazione (ad es. paura di prendere un mezzo pubblico) e gli insegniamo ad associare alla stessa situazione qualcosa di diverso: uno stato di rilassamento, calma e fiducia (cambiando così l’emozione che proviamo). Per esempio, col tempo e la costante pratica, cercando di aumentare la frequenza cardiaca con l’esercizio, o scatenando le sensazioni di testa leggera e i sintomi respiratori, o rimanendo nelle situazioni temute (come per esempio prendere il treno).